Diario in situazione di guerra
Vi condividiamo questo scritto di Monika, missionaria della nostra comunità, che vive a Mi'ilya, nel nord di Israele.
Sabato 7.10.2023. Sembra un giorno normale. Come ogni sabato stiamo preparando la catechesi per i bambini. Il tempo è buono e sicuramente verrà un bel gruppo. Verso le 9 ricevo un messaggio dall'ambasciata tedesca sui bombardamenti dalla Striscia di Gaza. È una cosa che conosciamo già. Ogni tanto arriva questa notizia e la vita prosegue normalmente, mentre si esprime così la rabbia e l'impotenza di un popolo a lungo oppresso.
Ma
oggi è stato diverso. Cominciano ad arrivare messaggi di persone preoccupate
che ci dicono di annullare l'incontro. Chiamo il responsabile della sicurezza
del villaggio. Mi chiede quanti bambini ci saranno e dove lo faremo. Quando
sente le mie risposte, dice: "Potete fare la riunione e se c'è qualcosa,
andate nel bunker". Alla fine abbiamo deciso di non fare l’incontro,
perché se c'è una possibilità, anche minima, di attacchi aerei, non ci
prendiamo la responsabilità di bambini piccoli.
Cerchiamo
di scoprire cosa sta realmente accadendo. Si può vedere che nel nord non ci
sono reazioni e tutto è tranquillo. Quindi la vita continua normalmente. Mi
rimane una certa tristezza. Sono abituata a prendere le distanze da ciò che
stanno vivendo i miei fratelli. Perché se non lo faccio, non sono in grado di
vivere qui, dove c'è sempre violenza, dove la gente muore sempre, in un circolo
vizioso di violenza e contro-violenza che non ha fine.
È il
dilemma del missionario: fare attenzione che il male non mi intrappoli e non mi
chiuda il cuore, e allo stesso tempo accettare di far parte di un mondo
avvelenato, che non è nelle mie mani salvare. E cosa faccio qui? Collaboro con
l'indifferenza? "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio" (Mt
5,8). Il mio contributo è questo cuore
che non si lascia avvelenare, che resiste a pensare in categorie di amici e
nemici, e che si concede la distanza per vivere guardando oltre, verso Colui
che solo è in grado di guarire e curare ciò che l'uomo distrugge. Essere questa
persona che si ricerca nel profeta, l'uomo che erge sulla breccia (Ez 22,30).
Qualcuno che non sprofonda perché vede Dio. Ma nemmeno si allontana. Mantenermi
libera per poter amare, perché il cuore non sia avvelenato dall'odio o dalla
paura. Così, per continuare a mettere amore, per essere fonte di fiducia, pace
e speranza. Per questo bisogna vivere su una montagna da cui si vede tutto, ma
nel cuore si conserva l'eco di una promessa celeste. Anche se il fico non
germoglia e l'olivo dimentica la sua oliva, e le vacche vengono meno nella
stalla, io mi rallegrerò con il Signore" (Ab 3,17-18).
Il
primo giorno la situazione è apparentemente calma. La vita non cambia, non si
sente nulla di diverso dal solito. Solo i media e i telegiornali portano il
mondo nel mio piccolo orizzonte. Nella
mente c'è preoccupazione, ma il cuore ancora non la coglie. Leggere le notizie,
parlare con le persone lo riempie di realtà. Ma esistenzialmente mi sento al
sicuro. Forse è ingenuità o forse è fiducia basata su una lunga esperienza che
Dio non mi ha mai delusa e tutto nella mia vita è stato ben preparato dal
Signore.
Già
durante il secondo giorno sentiamo parlare di qualche incidente al confine
settentrionale, che è quello in cui viviamo. La gente inizia a preoccuparsi di
più. Tuttavia, tutto procede normalmente. Il gruppo di preghiera è normale. Ma
poi tutti sono incollati ai loro telefoni e alle notizie. Mentre stiamo pregando, si sentono strani
rumori, come di grandi camion. Poi c'è silenzio, ma poco dopo si ripresenta lo
stesso rumore. Scendiamo nella strada principale e vediamo un viavai di persone
e auto. Un convoglio di carri armati si muove lentamente lungo la strada
stretta, rompendo l'asfalto con le catene, con un gran rumore di motori diesel.
Nelle auto si vedono anche giovani ragazzi e alcune ragazze. Sono consapevoli
che si stanno dirigendo verso un vero combattimento. Non è più una manovra, non
è più un gioco militare. La realtà si sta imponendo. Mi fa male il cuore vedere
queste giovani vite, costrette a esporsi alla guerra. Il vicino mi racconta di
un suo amico, un ebreo cristiano che ha 4 figli arruolati nell'esercito. Che tristezza. E questo a causa della lunga
storia del male che provoca il male, della violenza che costringe l'altro alla
violenza. E alla fine siamo noi stessi a renderci la vita impossibile, perché
dobbiamo difenderci. Se non lo facciamo, ci uccidono. Occhio per occhio e dente
per dente. "Liberami dal sangue, o Dio", chiede il Salmista (Sal
51,14), soffrendo l'impotenza di fermare questa catena.
È arrivato l'odore della guerra. Il triste
sapore di un mondo che da tempo si è allontanato dal credere nella bontà di Dio
e quindi genera perversione nelle menti di tanti.
Oggi,
al terzo giorno, si sentono molti aerei. La gente è nervosa. La gente si
accalca nei negozi, comprando il necessario per tutto il tempo in cui forse non
ci sarà acqua, elettricità o altro. Il mio cuore si rallegra per le domande di
alcuni vicini, che ci chiedono se abbiamo tutto a casa, se abbiamo bisogno di
qualcosa. "Siamo una famiglia e ho comprato abbastanza. Se vi manca
qualcosa, ditelo"... Questo è l'altro lato, il cuore fraterno che non
muore, che è ancora sveglio.
Siamo
giunti al quarto giorno di questa guerra. Scegliendo un canto per la preghiera,
mi veniva la canzone di Martin Valverde: "Ti lodo nella verità".
Alcuni anni fa visitò la nostra casa e fu proprio questa la canzone che cantò
nella nostra cappella: "Anche nella tempesta, anche quando il mare
infuria, anche lontano dalla mia gente, anche nella mia solitudine: io ti lodo,
ti lodo in verità - perché ho solo te, tu sei la mia eredità". Queste parole mi vengono dal profondo del
cuore: sì, ci sono ancora molti motivi per lodare il mio buon Dio, perché non
si allontana dalla sua terra, che è martoriata dall'odio. Al mattino mi sveglio
e mi sorprendo: non è successo nulla, sono viva, i miei cari sono tutti lì, la
vita è ancora vita, ancora bella, ancora con le sue possibilità di amare, di
dare. Mi sorprende la sicurezza che sento e la mia fiducia. Dormo con
serenità. Sono sorpresa dal fatto che in
me non c'è la scelta di andarmene, di fuggire. Sono qui nel luogo in cui Dio mi
ha messo, dove c'è la mia casa, la mia gente, il mio popolo. Nella messa del mattino abbiamo letto da
Romani 8,28ss: "Sappiamo che Dio opera ogni cosa per il bene di coloro che
lo amano. Colui che non ha risparmiato nemmeno il proprio Figlio, ma l'ha dato
per tutti noi, come può non darci tutte le cose con lui?” Queste parole mi
toccano il cuore e dentro di me so che sono vere, l'unica verità, la cosa
certa. E Dio ce le ripete ora, in questa situazione.
Ieri
sera si sono sentite di nuovo esplosioni e colpi di artiglieria vicino a noi.
Tuttavia, non c'è stato alcun allarme. I nomi dei soldati morti sono stati
pubblicati. Mi addolora vedere i volti di giovani ragazzi e ragazze che avevano
tutta la vita davanti. Mi addolora pensare alle loro famiglie. Mi addolora
pensare a coloro che alimentano nelle loro menti il desiderio di vendetta,
perché percepisco l'inferno esistenziale che è questo. Finché il mio cuore è riconciliato,
tutto diventa vivibile e ci sarà Vita. Ma dove entra l'odio, ci corrodiamo
dall'interno e il cuore diventa come un campo minato.
"Signore,
proteggi soprattutto i nostri cuori e i cuori di tutti coloro che sono colpiti
da questa situazione. Stendi la tua mano premurosa su di noi, affinché tutti
possiamo sentire la tua verga e il tuo bastone che ci tengono in vita in questa
valle oscura". (Sal 23).
Sono
felice dell'iniziativa dei nostri giovani di pregare il Rosario per la pace e
di invitare tutte le persone che conoscono da tutto il mondo. Sì, c'è vita e
questa vita continuerà a crescere.
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