Andiamo fino a Betlemme
In questi giorni di preparazione al Natale, vi proponiamo questo testo di don Tonino Bello, per uscire da noi stessi, incontro al Signore che viene
Molto
più lungo di quanto non sia stato per i pastori ai quali bastò abbassarsi sulle
orecchie il copricapo di lana, impugnare il bastone, e scendere, lungo i
sentieri, giù per le gole di Giudea.
Per
noi ci vuole molto di più che una mezzora di strada. Dobbiamo valicare il
pendio di una civiltà che, pur qualificandosi cristiana, stenta a trovare
l'antico tratturo che la congiunge alla sua ricchissima sorgente: la capanna
povera di Gesù.
Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è
faticoso, lo so.
Molto
più faticoso di quanto sia stato per i pastori i quali, in fondo, non dovettero
lasciare altro che le ceneri del bivacco, le pecore ruminanti tra i dirupi dei
monti.
Noi,
invece, dobbiamo abbandonare i recinti di cento sicurezze, i calcoli smaliziati
della nostra sufficienza, le lusinghe di raffinatissimi patrimoni culturali, la
superbia delle nostre conquiste... per andare a trovare che? «Un bambino
avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia».
Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è
difficile, lo so.
Molto
più difficile di quanto sia stato per i pastori ai quali, perché si mettessero
in cammino, bastarono il canto delle schiere celesti e la luce da cui furono
avvolti.
Per
noi, disperatamente in cerca di pace, ma disorientati da sussurri e grida che
annunziano salvatori da tutte le parti, e costretti ad avanzare a tentoni dentro
infiniti egoismi, ogni passo verso Betlemme sembra un salto nel buio.
Andiamo fino a Betlemme. E' un viaggio
lungo, faticoso, difficile, lo so.
Ma
questo, che dobbiamo compiere «all'indietro», è l'unico viaggio che può farci
andare «avanti» sulla strada della felicità. Quella felicità che stiamo
inseguendo da una vita, e che cerchiamo di tradurre col linguaggio dei presepi.
Andiamo
fino a Betlemme, come i pastori. L'importante è muoversi. Per Gesù Cristo vale
la pena lasciare tutto: ve lo assicuro.
E
se, invece di un Dio glorioso, ci imbattiamo nella fragilità di un bambino, con
tutte le connotazioni della miseria, non ci venga il dubbio di aver sbagliato
percorso. Perché, da quella notte, le fasce della debolezza e la mangiatoia
della povertà sono divenuti i simboli nuovi della onnipotenza di Dio.
Anzi,
da quel Natale, il volto spaurito degli oppressi, le membra dei sofferenti, la
solitudine degli infelici, l'amarezza di tutti gli ultimi della terra, sono
divenuti il luogo dove Egli continua a vivere in clandestinità. A noi il
compito di cercarlo. E saremo beati se sapremo riconoscere il tempo della sua
visita.
Mettiamoci
in cammino, dunque, senza paura. Il Natale di quest'anno ci farà trovare Gesù
e, con Lui, la festa di vivere, il gusto dell'essenziale, il sapore delle cose
semplici, la fontana della pace, la gioia del dialogo, il piacere della
collaborazione, la voglia dell'impegno storico, lo stupore della vera libertà,
la tenerezza della preghiera.
Allora,
finalmente, non solo il cielo dei nostri presepi, ma anche quello della nostra
anima sarà libero di smog, privo di segni di morte e illuminato di stelle.
E
dal nostro cuore, non più pietrificato dalle delusioni, strariperà la speranza.
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